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Le aziende estere che lavorano in Italia sono soggette alla disciplina prevista dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231?

30 Maggio 2023
Scritto da Francesco Del Deo

Il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 disciplina la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche,  delle società e delle associazione (anche di quelle prive di responsabilità giuridiche ex art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300). Il predetto decreto riveste un’enorme importanza dal momento che ha introdotto una non trascurabile novità nell’ambito del diritto d’impresa. È proprio grazie al decreto n. 231/2001 che è stata prevista una responsabilità amministrativa, anche nel processo penale, in capo alle persone giuridiche, per una serie di reati commessi dai loro amministratori, dirigenti o dipendenti nell’esercizio delle loro funzioni nell’interesse o a vantaggio dell’impresa. Pertanto,  sono soggetti alla disciplina prevista dal decreto legislativo n. 231/2001 tutti gli enti dotati della personalità giuridica, senza distinzioni in ragione della loro forma societaria, della loro dimensione o del loro oggetto.

Trattandosi di una disciplina italiana, nata sul territorio dello Stato italiano, sorge spontaneo domandarsi se il predetto decreto legislativo possa ritenersi applicabile anche alle società operanti in Italia, ma aventi sede legale all’estero. Premesso che la predetta normativa si applica anche nel caso in cui il reato-presupposto sia commesso all’estero da un ente italiano[1], appare pacifico ritenere estendibile questa disciplina a un ente straniero nel caso in cui il reato-presupposto sia commesso sul territorio italiano.

A chiarire ogni dubbio è stata la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 11626 del 7 aprile 2020, del tutto in linea sul punto con le precedenti pronunce di merito.

In primis, la Corte ha rilevato che l’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 231/2001[2] non effettua alcuna distinzione tra società aventi sede in Italia e società aventi sede all’estero, ricomprendendo indistintamente entrambe le categorie all’interno dell’ambito di applicazione della disciplina contenuta nel predetto decreto. A sostegno di ciò è bene ricordare che il legislatore, al comma 3[3] del predetto articolo, avendo espressamente previsto una specifica esclusione della disciplina in favore dello Stato, degli enti pubblici territoriali, degli altri enti pubblici non economici e degli enti[4] che svolgono funzioni di rilievo costituzionale, ed essendo questo elenco tassativo, ha quindi deciso di ritenere implicitamente applicabile la suddetta normativa a tutti gli altri enti non elencati. Pertanto, anche gli enti e le società con sede al di fuori del territorio italiano soggiacciono a quanto stabilito dal decreto legislativo n. 231 del 2001.

In secundis, anche l’art. 36, comma 1, del decreto n. 231/2001 depone a favore della predetta interpretazione affermando che “la competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono”. Pertanto, il giudice competente è quello del locus commissi delicti[5] avvalorando la tesi secondo cui se il reato-presupposto è stato commesso in Italia, la competenza spetta ai giudici italiani che, inevitabilmente, applicheranno la legge italiana, ivi compresa la disciplina contenuta all’interno del decreto legislativo n. 231/2001. A sostegno di ciò si possono citare, senza dubbio, l’art. 3, comma 1[6], c.p. e l’art. 6, comma 1[7], c.p. secondo cui, in sintesi, la legge italiana obbliga tutti coloro che si trovano sul suolo dello Stato italiano e punisce chi commette un reato all’interno del territorio italiano.

Alla luce di ciò l’ente persona giuridica, al pari di una persona fisica, è sottoposto alla legge italiana ed è tenuto a osservarla. Pertanto, nel caso in cui un ente commetta un reato in Italia, indipendentemente dal luogo dove ha la sede e indipendentemente dalla sua nazionalità, dovrà rispondere della violazione della legge penale italiana. Se così non fosse si creerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento[8], tra l’altro, contraria all’art. 3 Cost. che sancisce il principio di eguaglianza fra il trattamento destinato alle persone fisiche e quello destinato alle persone giuridiche.

A tal proposito, la già citata sentenza della Corte di Cassazione n. 11626 del 2020 stabilisce che:

  “l’ente risponda, al pari di “chiunque” – cioè di una qualunque persona fisica –, degli effetti della propria “condotta”, a prescindere dalla sua nazionalità o dal luogo ove si trova la sua sede principale o esplica in via preminente la propria operatività, qualora il reato-presupposto sia stato commesso sul territorio nazionale (o debba comunque ritenersi commesso in Italia o si versi in talune delle ipotesi nelle quali sussiste la giurisdizione nazionale anche in caso di reato commesso all’estero), all’ovvia condizione che siano integrati gli ulteriori criteri di imputazione della responsabilità ex artt. 5 e seguenti d.lgs. n. 231/2001”[9].

Pertanto, alla luce dell’analisi appena condotta, è pacifico che la disciplina delineata dal decreto legislativo n. 231 del 2001 sia applicabile anche agli enti e alle società, con sede legale all’estero, che commettono un reato all’interno del territorio italiano.

Avv. Francesco del Deo, diritto penale, Genova

f.deldeo@studiolegaledeldeo.com

[1]     Si veda l’art. 4, comma 1, decreto legislativo n. 231/2001 (Reati commessi all’estero): “Nei casi e alle condizioni previsti dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale, gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale rispondono anche in relazione ai reati commessi all’estero, purché nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto”.

[2]     Art. 1, comma 2, decreto legislativo n. 231/2001 (Soggetti): “Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica”.

[3]     Art. 1, comma 3, decreto legislativo n. 231/2001 (Soggetti): “Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale”.

[4]     L’elenco contenuto all’interno dell’art. 1, comma 3, decreto legislativo n. 231/2001 è pertanto tassativo.

[5]     A tal proposito si veda l’art. 8, comma 1, c.p.p. (Regole generali): “La competenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato”.

[6]     Art. 3, comma 1, c.p. (Obbligatorietà della legge penale): “La legge penale obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale”.

[7]     Art. 6, comma 1, c.p. (Reati commessi nel territorio dello Stato): “Chiunque commette un reati nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana”.

[8]     G. Principato – G. Cassinari, La (imperfetta) sovrapponibilità della giurisdizione per le persone fisiche e per gli enti stranieri: riflessioni a margine di una sentenza della Cassazione sull’art. 4 d.lgs. 231/2001, Sistema Penale, 6 maggio 2020.

[9]     Cass. pen. sez. VI, sent. 7 aprile 2020, n. 11626, pag. 15.