Brevi riflessioni sulla legittimità costituzionale del comma 4-bis dell’art. 31 del d.P.R. 380/2001 : inottemperanza dell’ordine di demolizione.
Merita alcune riflessioni la sanzione amministrativa prevista dal comma 4-bis dell’art. 31 del d.P.R. 380/2001, relativa all’inottemperanza dell’ordine di demolizione.
L’’ordinanza di demolizione costituisce una delle misure ripristinatorie che l’ordinamento prevede nei casi di violazioni delle norme in materia di edilizia e urbanistica che sono poste a salvaguardia dei valori tutelati dagli artt. 9, 41, 42 e 117 della Costituzione.
Tale provvedimento, previsto dall’art. 31 del d.P.R. 380/2001, si sostanzia in un ordine con cui viene ingiunto al trasgressore di eliminare entro 90 giorni l’opera abusiva. L’ordine di demolizione presenta un carattere rigidamente vincolato (dovendo essere adottato a seguito della sola verifica dell’abusività dell’intervento) e non richiede né una specifica motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, né una comparazione fra l’interesse pubblico e l’interesse privato al mantenimento dell’immobile (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21 marzo 2017, n. 1267) e ai fini della motivazione è sufficiente l’indicazione delle opere abusive, delle violazioni compiuti, stante la doverosità dell’esercizio dei poteri di vigilanza e repressivi in materia urbanistico – edilizia (tra le tante T.A.R. , Napoli , sez. VII , 27/09/2018 , n. 5656).
Particolare rilievo assume, ai fini pratici, l’eventuale inottemperanza da parte del destinatario dell’ordine di demolizione.
A tal riguardo l’art. 31 del d.P.R. 380/2001 prevede due conseguenze sanzionatorie: quella reale, dell’automatica acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio disponibile del Comune (stabilita dal comma 3°) e quella pecuniaria da 2 mila a 20 mila euro (stabilita dal comma 4-bis)[1].
Il Cumulo di queste sanzioni non è stato ritenuto sproporzionato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 140/2018 e come ha precisato dal Consiglio di Stato, la ratio di tale ulteriore previsione si basa anch’essa sull’esigenza di salvaguardare i valori tutelati dagli artt. 9, 41, 42 e 117 della Costituzione. Secondo il Supremo Consesso amministrativo, poiché il responsabile dell’illecito ha cagionato un vulnus al paesaggio, all’ambiente ed all’ordinato assetto del territorio, in contraddizione con la funzione sociale della proprietà, il legislatore ha inteso sanzionarlo – oltre che con la perdita della proprietà – anche con una sanzione pecuniaria, qualora non abbia ottemperato all’ordinanza di demolizione (Cons. Stato Ad. Plen. 16/2023).
Nonostante le ammirevoli finalità della disposizione normativa richiamata, la stesa pone non pochi dubbi di legittimità costituzionale che, ad oggi, non sono ancora stati portati al cospetto di alcun Giudice.
A tal riguardo ci sono almeno due profili che andrebbero attenzionati: il primo, riguarda la modalità con cui il comma 4-bis dell’art. 31 del d.P.R. 380/2001 è stato introdotto nel nostro ordinamento; il secondo, invece, attiene ai criteri (non individuati dalla legge) in base ai quali deve essere irrogata la sanzione.
In merito al primo profilo, la disposizione presenta un contrasto con gli artt. 70 e 77 della Costituzione, poiché la stessa è stata introdotta in sede di conversione di un decreto legge e presenta più di qualche perplessità in relazione alla ratio e al contenuto di quel decreto, sembrando non avere un legame contenutistico-finalistico con esso.
La disposizione in parola, infatti, così come introdotta in sede di conversione del decreto legge 133/14 (recante “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”), sembra essere estranea rispetto all’oggetto, alle finalità ed alla ratio dell’originale contenuto del decreto-legge. E, ciò, sarebbe indice sintomatico di illegittimità costituzionale.
Infatti, la Corte costituzionale, con la nota sentenza n. 22 del 2012, ha ricordato come uno degli indici in base ai quali verificare se in un decreto-legge «risulti evidente o meno la carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza di provvedere», è costituito dalla «evidente estraneità» della norma censurata rispetto alla materia disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita (cfr. Corte Cost. 22/2012; 171/2007; 128/2008). Pertanto le norme inserite nel decreto-legge nel corso del procedimento di conversione che siano del tutto estranee alla materia e alle finalità del medesimo, sono costituzionalmente illegittime, per violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost. in quanto alterano l’omogeneità di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario spezzando il legame tra la decretazione d’urgenza e il potere di conversione (cfr. Corte Cost. 22/2012; 171/2007; 128/2008; 247/2019).
Questi principi sono stati poi confermati dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 34 del 2013 e, ancora più di recente, nella sentenza 247/2019, che ha ribadito i limiti alla emendabilità del decreto-legge indicati dalla sentenza n. 22 del 2012 «in una prospettiva contenutistica ovvero finalistica, richiamando le norme procedimentali che riflettono la natura della legge di conversione come legge «funzionalizzata e specializzata», che non può aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore”.
L’ulteriore questione, invece, attiene alla dosimetria della sanzione che pone un ulteriore rilievo di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, comma 1° della Costituzione in riferimento all’art. 6 CEDU.
La disposizione, come detto, prevede una sanzione da applicare tra il limite minino di 2000 euro al massimo di 20.000 euro, fermo restando l’applicazione di quest’ultima laddove l’ordine demolitorio non sia ottemperato in particolari contesti. Quali siano, tuttavia, i criteri che dovrebbero guidare l’amministrazione alla misura della sanzione non sono specificati dalla legge. Nel silenzio della norma risulterebbe applicabile l’art. 11 della legge 689/1981 che stabilisce: “Nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche.”
In realtà, ove si ammettesse una siffatta interpretazione, la sanzione pecuniaria verrebbe applicata in relazione ad una nuova valutazione dell’abuso, anziché della semplice inottemperanza all’ordine demolitorio. Con il rischio che, per quell’abuso, ove già fosse stata applicata la sanzione penale di cui al successivo art. 44 del d.P.R. 380/2001, la persona già punita subirebbe anche la sanzione amministrativa gravemente afflittiva quale quella pecuniaria in commento. In sostanza, se la norma in questione venisse così interpreta, la sanzione amministratia finirebbe per avere effetti equivalenti a quella penale, sanzionando solo formalmente l’omessa ottemperanza dell’ordine di demolizione, ma sostanzialmente nuovamente l’abuso. Da qui la violazione dell’art. 117, comma 1° in riferimento art. 6 CEDU, tenuto anche conto dei principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976.
In conclusione la sanzione amministrativa di cui al comma 4-bis dell’art. 31 del d.P.R. 380/2001 merita una particolare attenzione poiché, come detto, alcuni suoi aspetti risultano ancora inesplorati e possono portare a soluzioni interpretative ed applicative differenti rispetto a quelle che oggi siamo abituati ad assistere.
Avv. Simone Giardina, foro di Messina