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L’applicazione delle norme comunitarie e il diritto al soggiorno permanente del familiare di cittadino UE

11 Aprile 2024
Scritto da Francesca Venturin

Da molti decenni l’avvento della globalizzazione sta incidendo significativamente sulla mobilità spazio-temporale dell’uomo e, con la complicità dello sviluppo dei mezzi di comunicazione e di trasporto, ha riscritto in termini di maggiore possibilità gli spostamenti delle persone nel mondo.

Questo andamento sempre più dinamico dei rapporti tra gli individui riverbera indubbiamente anche sulle relazioni sentimentali che, molto spesso, nascono anche tra persone che abitano in Paesi diversi e lontani.

In Europa, il Parlamento ha avvertito la necessità di codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione ed ha concretizzato tale esigenza attraverso l’emanazione della direttiva 2004/38/CE.

Qualche anno più tardi, con il decreto legislativo n. 30 del 2007, anche l’Italia ha regolamentato le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione, ingresso e soggiorno -anche permanente – nel territorio dello Stato da parte dei cittadini dell’UE e dei familiari che li accompagnano o raggiungono, limitato, fondamentalmente, solo da esigenze di ordine pubblico.

Dal momento che la normativa nazionale ha recepito la direttiva europea, di essa ha mutuato anche le definizioni di familiari facendo rientrare tra queste – accanto a quella di coniuge, com’è ovvio – anche quella di “partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante”.

Sebbene la normativa unionale abbia chiarito [con la comunicazione COM 2009 (313) della Commissione Europea] che la prova della stabilità della relazione, al fine dell’esercizio del diritto al soggiorno permanente in Italia da parte del partner di cittadino europeo in Italia, può essere data con ogni mezzo idoneo- e dunque anche al di là della convivenza registrata – nelle situazioni concrete le Questure italiane, competenti al rilascio del relativo titolo di soggiorno, richiedono al cittadino (extracomunitario) la prova della registrazione di una stabile convivenza con il suo partner italiano.

In effetti, sebbene il legislatore del 2007 non lo potesse ancora prevedere, in Italia la figura del <partner che abbia una relazione stabile registrata…> è stata successivamente normata dalla legge n. 76/2016, che –oltre ad altre fattispecie – disciplina le convivenze tra due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

Essendo dunque prevista, in Italia, la possibilità di registrare le convivenze di fatto, all’atto della formalizzazione di una domanda per il rilascio della carta di soggiorno per il partner del cittadino comunitario, la Pubblica Amministrazione competente richiede la prova della registrazione del contratto di convivenza ai sensi dell’art. della legge Cirinnà.

Va detto che – tra le altre regole – la suddetta legge prescrive, quale atto prodromico al fine della registrazione della convivenza, che la coppia sia iscritta all’ANPR nella medesima abitazione. Tuttavia, i Comuni italiani, dal canto loro, al fine dell’iscrizione anagrafica di un cittadino extracomunitario esigono il possesso di un permesso di soggiorno rilasciato da una Questura italiana.

A questo punto, lo straniero che intenda domandare all’Italia il rilascio della c.d. “carta di soggiorno UE” ai sensi del d.lgs 30/2007 per coltivare il proprio progetto esistenziale con il partner italiano, si verrà inesorabilmente a trovare in un vero e proprio circolo vizioso, in cui le due amministrazioni coinvolte dichiareranno – ciascuna sulla base delle proprie direttive interne e delle circolari ministeriali – irricevibili le istanze del richiedente.

Basti immaginare che, a seguito del rifiuto dell’iscrizione anagrafica da parte del Comune, il richiedente non è in grado di esibire presso la Questura il contratto di convivenza registrato e che, di conseguenza, riceverà inevitabilmente un preavviso di rigetto della propria domanda di rilascio del titolo di soggiorno.  E tutto questo nonostante il diritto al suo soggiorno in Italia scaturisca dalla normativa di matrice europea secondo cui, tanto l’iscrizione anagrafica quanto la registrazione della convivenza, conferiscono all’unione sentimentale un’efficacia senz’altro privilegiata ma senza dispiegare effetto costitutivo nel perfezionamento della fattispecie.

Fin tanto che situazioni come quelle sopra descritte non troveranno armonizzazione grazie a nuovi e attesi interventi ad opera del legislatore nazionale, è la giurisprudenza a dover dare esecuzione ai diritti dei partner di cittadini italiani.

Riporto il recente caso dello scorso dicembre, che ho seguito sin dall’instaurazione della fase amministrativa, in cui una coppia formata da connazionale e dal suo fidanzato di lunga data – un cittadino statunitense dello Stato della Florida – decideva di cristallizzare l’unione attraverso una stabile convivenza in Italia, presso la residenza di lei.  Si erano conosciuti nel 2007, epoca in cui lui lavorava alla base N.A.T.O. a Vicenza. Come ogni altro richiedente la carta di soggiorno, anche l’ex soldato si era ritrovato con un preavviso di rigetto da parte della Questura e un provvedimento di irricevibilità della domanda di iscrizione anagrafica da parte del Comune interessato, nonostante l’esibizione di un contratto di convivenza autenticato dall’Avvocato.

Per risolvere la dibattuta questione è stato adito il Giudice ordinario, a mezzo di un ricorso d’urgenza con il quale è stato ordinato al Comune di procedere all’iscrizione anagrafica del cittadino extracomunitario, e ciò nonostante questi fosse in possesso della sola ricevuta di presentazione dell’istanza di rilascio del titolo di soggiorno alla Questura, in forza di una lettura combinata dell’art. 1, comma 52 della l. 76/2016 e degli artt. 3 comma 2 e 9, comma 5 bis d.lgs. 30/2007.

Il Tribunale ha accolto il ricorso, riconoscendo il diritto del cittadino straniero convivente di fatto con la partner italiana ad essere iscritto all’anagrafe nazionale e ad ottenere, così, anche la registrazione del contratto di convivenza. Al fine della decisione si è ancorato alla lettura della normativa europea in una visione costituzionalmente orientata e tenendo conto, ai fini della prova della convivenza con la cittadina italiana, delle indicazioni di cui alla Comunicazione COM 2009 (313), uniformandosi anche alla più recente giurisprudenza favorevole. Oltre all’esibizione del contratto di convivenza sottoscritto tra le parti e debitamente autenticato, la coppia ha dimostrato la stabilità del rapporto sentimentale anche attraverso la produzione di biglietti aerei relativi ai viaggi intrapresi insieme e alle numerose fotografie estratte dai social che li ritraggono nel corso della loro relazione.

 

Avv. Francesca Venturin, foro di Padova